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Traffico d'auto, gang sgominata
A Verona la mente del clan che fatturava milioni
 

30 ottobre 2002
 
VERONA. In gergo le chiamavano «arachidi» o «pecore» - da qui il nome «Dolly» all'operazione - per un valore che a pezzo variava dai 12 mila ai 25 mila euro. La squadra mobile di Verona ha scoperto però che non si trattava di spostamenti di greggi, ma di auto di grossa cilindrata (Saab, Mercedes, Bmw, Audi, Jaguar, Mitsubishi, Chrisler) tutte nuove o con qualche mese di rodaggio rubate e destinate a vari mercati.
In particolare destinate al mercato del Dubai, degli Emirati Arabi o del nord Africa con un giro d'affari stimato di 17 miliardi di euro. Il traffico, il primo scoperto in Italia per simili proporzioni, è stato bloccato dall'inchiesta della magistratura scaligera che ha emesso 61 ordini di custodia cautelare, tutte per associazioni per delinquere, e indagato in 12 regioni circa 200 persone tra italiani, marocchini, tunisini e albanesi. L'attività era gestita da un'organizzazione interetnica che aveva il «cervello» a Verona: un'azienda dove lavoravano 19 persone (italiani e stranieri gravitanti nel mondo dell'auto) con supporto di titolari di autodemolizioni, autosaloni, rivendite di auto, carrozzerie, agenzie di pratiche automobilistiche. Il tutto per recuperare libretti e targhe falsificate o, come è stato accertato, documentazione di una stessa vettura e del suo proprietario che veniva semplicemente clonata. Così capitava che uno stesso modello risultava essere circolante sulle strade italiane anche in decine di esemplari.
L'indagine è scaturita dopo un normale controllo ad una vettura, nel settembre 2001, trovata con libretto e targa falsi. In un anno di accertamenti, la mobile veronese ha scoperto che ogni etnia coinvolta nel giro si muoveva con tecniche diverse. Gli albanesi gestivano le auto prese negli assalti alle ville che nel centro-nord Italia sono state numerose. Alcune vetture sono state bloccate a Marsiglia dalla polizia francese, su segnalazione dei colleghi veneti: a fine febbraio per una Mercedes rapinata ad un imprenditore di Torre di Quartesolo (Vicenza), qualche giorno dopo per una Saab presa ad un commerciante di Padova, il 19 marzo per una Pajero sottratta 14 giorni prima con la minaccia di una pistola ad un mediatore di Busto Arsizio (Varese). Tutte avevano documentazione francese falsa. Tunisini, marocchini e italiani si occupavano di rubare le auto nei parcheggi o con la tecnica dell'incidente: veniva tamponata la vettura della vittima e quando questa scendeva per verificare il danno, un complice del malvivente si metteva alla guida della grossa cilindrata e fuggiva, lasciando il proprietario di sasso. Le «pecore» o le «arachidi» vendute a metà del loro valore finivano anche in Campania e nel Lazio, ma la maggior parte venivano caricate su container imbarcati su navi a Napoli, oppure nei porti di Marsiglia, Gibilterra, e da Algesiras (Spagna) per lo scalo di Tangeri (Marocco). La media dei furti o rapine di pezzi era di cinque al giorno, con un fatturato di più di 17 milioni di euro, parte dei quali reinvestiti nel traffico di droga. Prima del blitz di ieri erano state arrestate 13 persone, una delle quali, un corriere, appena sbarcato a Roma da un aereo proveniente dal Dubai con le tasche piene di 250 mila euro, denaro incassato dalla vendita di piccoli gioielli di ultima generazione automobilistica. Altro denaro in contante è stato sequestrato ieri con documenti contraffatti.
 
 

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