TRATTO DA:

GUARDIE ECOLOGICHE

     
 

DOMANDA:

I veicoli a motore privi di targa e/o comunque abbandonati sono automaticamente da considerare rifiuti?  La disciplina giuridica nel settore cosa prevede esattamente?

RISPOSTA:

La disciplina dei veicoli a motore presuppone il chiarimento di alcuni punti preliminari.

Il veicolo a motore finché è ufficialmente targato non può essere considerato giuridicamente un rifiuto anche se di fatto è abbandonato e ridotto in condizioni di assoluto decadimento generale, giacché trattasi sempre di veicolo potenzialmente utilizzabile in modo legale su strada previa ristrutturazione delle parti meccaniche e regolarizzazione della tassa di circolazione e dell'assicurazione obbligatoria. Il mezzo abbandonato di fatto ma ancora targato deve essere asportato nella qualità ufficiale di veicolo ancora circolante e quindi al momento entro il contesto del Codice della Strada e delle normative satelliti, senza poter essere gestito nell'ambito del decreto Ronchi sui rifiuti.

Tuttavia per supplire alla situazione di stallo conseguente il D.L.vo 22/97 prevede una procedura specifica per consentire alla pubblica amministrazione, previa diffida al ritiro da notificare nelle forme di rito al proprietario, la possibilità di procedere in seconda battuta alla cancellazione del veicolo dal PRA con conseguente eliminazione della targatura e quindi successiva automatica classificazione dello stesso come rifiuto da gestire entro il contesto della normativa di settore.

Il veicolo invece privato ufficialmente della targa deve essere considerato potenzialmente gestibile entro il contesto del Decreto Ronchi sui rifiuti, ma anche in questo caso vanno operate delle chiarificazioni preliminari.

Non esiste automatismo tra depennamento ufficiale della targa e trasformazione immediata del veicolo così stargato in un rifiuto. Infatti il veicolo privo di targa per essere classificato come rifiuto ai sensi del D.L.vo 22/97 deve integrare il concetto di "rifiuto" in senso tecnico giuridico così come delineato dallo stesso decreto e cioè deve essere una sostanza od oggetto ricompreso nell'allegato A (ed il veicolo vi rientra automaticamente) ma del quale comunque il detentore "si disfi" o "abbia deciso" o "abbia l'obbligo di disfarsi".

Se in particolare queste tre ultime condizioni soggettive non sussistono il veicolo stargato non può assumere automaticamente lo status giuridico di rifiuto. Consegue pertanto che potenzialmente un veicolo privo di targa può essere legittimamente conservato dal proprietario in un ambito di area privata come bene personale senza che costui abbia l'obbligo giuridico di disfarsi del veicolo stesso. D'altra parte la normativa è chiara e in nessun passaggio del decreto Ronchi si trae un obbligo legalizzato per il proprietario di un veicolo stargato di disfarsi dello stesso una volta depennato dal PRA: la norma infatti esplicitamente recita nell'art. 46, primo comma, del proprietario che "intende procedere alla demolizione" , il quale è obbligato, naturalmente, a conferire lo stesso nei centri allo scopo allestiti ed ufficializzati. Si deve dunque dedurre che un proprietario che non intende procedere alla demolizione del veicolo stargato non è obbligato a conferirlo a tali centri ma può legittimamente detenerlo; questo naturalmente finché l'azione di detenzione non si evolve in un contrasto con i tre principi costitutivi della concettualità di rifiuto sopra accennati ("si disfi" o "abbia deciso" o "abbia l'obbligo di disfarsi").

Dunque se la detenzione viene trasformata in un "disfarsi" come flagranza di abbandono/deposito incontrollato automaticamente scatta la concettualità di rifiuto per il veicolo stargato e la conseguente applicabilità del decreto Ronchi; analogamente ove un obbligo giuridico di disfarsi di quello specifico veicolo venga emanata attraverso un atto impositivo (ad esempio ordinanza comunale che ordini la rimozione e lo sgombero di una carcassa da una specifica area per motivi di igiene e/o pericolo pubblico) la non ottemperanza di tale obbligo fa scattare la concettualità suddetta e il decreto Ronchi.

Più complessa appare la casistica in ordine alla decisione potenziale del proprietario di disfarsi del veicolo stargato senza che però abbia ancora posto in essere una azione operativa specifica inequivocabile (altrimenti si ricadrebbe sotto il primo caso appena accennato).

Ma sorge spontaneo il quesito: quando sussiste l'ipotesi dimostrata (e dimostrabile) che il detentore ha realmente deciso di disfarsi del veicolo stargato?

La interpretazione del relativo principio appare rilevante. Entrano a questo punto in considerazione, inevitabilmente, non soltanto gli elementi oggettivi del fatto ma anche, in stretta sinergia, gli aspetti comportamentali soggettivi.

La decisione, operativa (e cioè reale e non supposta), della decisione di disfarsi del veicolo stargato (che costituisce presupposto costitutivo per la qualificazione di rifiuto per lo stesso) deve essere appurata in sede di controllo e vigilanza da un attento esame della stretta correlazione tra azione pratico-oggettiva posta in essere e volontà soggettiva dedotta in via induttiva da una serie di ulteriori elementi specifici.

Ma quali sono i parametri di tali ulteriori elementi specifici?

Da un lato, non si può certo ricollegare alla dichiarazione unilaterale soggettiva della persona interessata l'unico parametro da utilizzare; né si può, al contrario, basare detto elemento sulla valutazione a sua volta monosoggettiva dell'organo di controllo senza basi di supporto logico-induttivo.

Ecco, dunque, che a nostro avviso si deve operare uno sforzo interpretativo ed in qualche modo anche integrativo ricorrendo a parafrasi generali di altri principi dell'ordinamento; e ci pare pertinente richiamare, seppur con le dovute diversificazioni di fondo, la concettuale del tentativo così come delineata dall'art. 56 c.p.

Ci sembra infatti aderente al caso di specie richiamare, ed applicare, i due elementi-base costitutivi del tentativo stesso: il porre in essere atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un dato fatto.

Applicando detto principio alla fattispecie in esame possiamo argomentare che rientra nel concetto in questione chiunque pone in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a disfarsi di un veicolo stargato, evidenziando così a livello oggettivo e soggettivo la relativa propedeutica decisione.

L'azione-decisione, dunque deve essere caratterizzata da due elementi distinti e contestuali: l'idoneità dell'azione e la inequivocabilità della stessa verso il fine previsto dalla norma (il disfarsi).

Il concetto espresso, pertanto, dalla definizione normativa laddove prevede il caso che il detentore del veicolo stargato abbia deciso di disfarsi dello stesso, deve essere integrato, caso per caso, con altri elementi che rendano l'azione idonea e diretta in modo non equivoco a realizzare tale fattispecie; dunque si dovrà operare un esame non puramente nominalistico e monosoggettivo ma basato su elementi concreti e induttivi delle modalità specifiche dell'azione connesse sinergicamente ed inscindibilmente al teatro dei fatti, e allo spazio, tempo, modo e luogo dell'azione oltre che dalle caratteristiche soggettive e personali del responsabile.

Per citare un esempio concreto, se la detenzione di un veicolo stargato dentro l'abitazione e/o nel cortile privato deve considerarsi del tutto legittima, la detenzione su un terreno privato ma di fatto aperto al pubblico o comunque non costituente pertinenza in senso stretto di abitazione con un evidente decadimento della struttura del veicolo, tra cui ruggine, crescita di erbe infestanti ed invasione di insetti ed altre sintomatologie tipicizzanti i caratteri oggettivi dell'incuria e dell'abbandono, consegue in via logica che sono stati integrati ambedue i concetti sopra espressi perché il proprietario ha posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco ad abbandonare lo stesso e procedere così ad uno smaltimento mediante un disfarsi di fatto in senso lato.

Appare logico, comunque, che anche la teorica ed astratta legittimità di detenzione all'interno della privata abitazione e/o area strettamente privata trova limite nel momento in cui l'accumulo di veicoli esausti determina di fatto una discarica che, naturalmente, è soggetta a regime autorizzatorio anche nei luoghi privati.

Riteniamo infine che un'ordinanza del sindaco che imponga la rimozione per motivi di sanità e sicurezza pubblica di una carcassa da un terreno/area anche privata determini quell'obbligo giuridico di disfarsi previsto nella concettualità/base della definizione di rifiuto talché il bene dopo lo scadere del termine imposto dall'ordinanza stessa assume ipso iure lo status di rifiuto con obbligo in capo al detentore di avviare comunque lo stesso verso il circuito dello smaltimento di rito.

Per completezza, riportiamo due recenti massime della Cassazione sul tema.

"Gli autoveicoli fuori uso costituiscono rifiuti speciali, ai sensi dell'articolo 7, del Dlgs 5 febbraio 1997, n. 22, sicché è necessaria la preventiva autorizzazione per l'esercizio delle operazioni di smaltimento (articolo 28 del Dlgs citato), la cui mancanza costituisce reato (articolo 51 del Dlgs citato), di natura permanente; per la configurabilità dell'elemento soggettivo di tale reato è sufficiente la colpa, ossia la negligenza nel munirsi di una specifica ed espressa autorizzazione preventiva regionale".(Cassazione Penale - Sezione III - Sentenza del 24 luglio 1998 n. 8572- Giammanco).

"Secondo il D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, chi gestisce lo smaltimento di rifiuti speciali derivanti da veicoli a motore, rimorchi e simili fuori uso, senza essere in possesso dell'autorizzazione di cui all'art. 6, lettera d), incorre nel reato di cui all'art. 25, anche se rispetta il disposto dell'art. 15, comma 4, secondo cui i soggetti privati che gestiscono un centro di raccolta per la demolizione, l'eventuale recupero parziale e la rottamazione dei veicoli a motore fuori uso devono essere muniti di una apposita licenza comunale; tale licenza non sostituisce l'autorizzazione di cui al predetto art. 6, lettera d), sicché, ove manchi l'autorizzazione, ricorre il reato di cui all'art. 25, anche se venga rispettato il limite di 180 giorni per la detenzione dei materiali da avviare alla rottamazione. Peraltro, a seguito dell'evoluzione legislativa intervenuta nella soggetta materia non il D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22, vero è che secondo la disposizione transitoria di cui al comma 5 dell'art. 57 "le attività che in base alle leggi statali e regionali vigenti risultano escluse dal regime dei rifiuti (...) devono conformarsi alle disposizioni del presente decreto entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto stesso", ma questa disposizione transitoria a) presuppone che sia concretamente accertata la non applicabilità del regime sui rifiuti (cioè che si tratti di rifiuti qualificabili come residui, effettivamente destinati al riutilizzo, ecc.; b) rinvia di sei mesi l'obbligo di osservanza della normativa contenuta nel decreto, ovverosia concede agli interessati sei mesi di tempo per conformarsi ad essa, ma non esclude affatto che nel frattempo siano osservate le normative previgenti e che siano applicate le relative sanzioni penali in caso di inosservanza. (Nella specie, relativa ad annullamento con rinvio di ordinanza di riesame che aveva annullato decreto di sequestro preventivo per insussistenza del fumus delicti, la S.C. ha altresì osservato che i numerosi decreti legge disciplinanti il recupero dei rifiuti succedutisi dal novembre 1993 sino al settembre 1996 sono tutti decaduti per mancata conversione, ma la L. 11 novembre 1996, n. 575 ha fatto salvi i provvedimenti adottati e gli effetti giuridici prodotti sulla base dei decreti legge non convertiti e, quel che più conta per la fattispecie di cui trattasi, ha stabilito che dal 7 novembre 1996 fino al 25 febbraio 1997, e comunque non oltre la data di entrata in vigore del decreto legislativo per l'attuazione delle direttive CEE sui rifiuti, sui rifiuti pericolosi e sugli imballaggi - poi emanato col D.L.vo n. 22 del 5 febbraio 1997 ed entrato in vigore il 2 marzo 1997 -, per le attività di riutilizzo, riciclaggio, trasporto e smaltimento si applicano le norme di cui agli artt. 1, 2, 3, 4, 5, e 6, commi 1, 2 e 3 del D.L. 6 settembre 1996, n. 462 - art. 1, comma 2." (Cassazione Penale - Sezione III - Sentenza del 26 settembre 1997, n. 2810 - Artuso).

Per un approfondimento sull'argomento e sul tema dei rifiuti in generale rinviamo al volume "La nuova disciplina in materia di rifiuti" di Santoloci-Pernice - Buffetti Editore – Roma 1998 – Vedi scheda di presentazione nella pagina "Pubblicazioni in libreria" nel sito http://www.dirittoambiente.com/

 
     


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